L’assordante silenzio di Cécile

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Il conduttore la incalza, ripete un paio di volte la domanda sulla legge Bossi-Fini (“andrebbe abrogata?”), ma lei non cede. Si rifiuta di rispondere a quella che lei considera la “semplificazione” di un problema assai più complesso. Sarà.

Il collega deputato Nicola Fratoianni di SEL, mosso dalle migliori intenzioni, interviene interpretando il suo silenzio sulla questione come una necessaria difesa d’ufficio delle “larghe intese” (“il ministro non può dire che la Bossi-Fini è una schifezza altrimenti cade il governo”). Lei non sembra apprezzare il gesto del deputato di Sinistra, Ecologia e Libertà.

La frase che spariglia le carte e la geografia del confronto politico sulla Bossi-Fini, nello studio del programma Agorà, è di Renata Polverini: “La Bossi-Fini non va cancellata ma cambiata… Il reato di clandestinità va tolto”. Fa impressione che una tale affermazione provenga da una rappresentate del Pdl la cui storia politica è chiaramente riconducibile alla destra italiana più identitaria e oltranzista.

La cosiddetta “stabilità” cui anelano il governo e i suoi ministri ha anche questo prezzo: il silenzio assordante di chi, come Cécile Kyenge, è stata eletta promettendo di fare tutto quanto in suo potere per abolire la Bossi-Fini e oggi, in nome della “responsabilità”, si rimangia la parola data trincerandosi dietro un mutismo che non fa onore né a lei né al suo partito.

La fedeltà al governo Letta viene prima di tutto. Anche prima delle lotte portate avanti per anni nella società civile e degli impegni presi durante la campagna elettorale.