Alfano e l’ossessione della sala parto

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Ius soli, no a trasformare l’Italia in una immensa sala parto, attraversando la quale si ottiene la cittadinanza”. Con queste parole Angelino Alfano, vicepremier e ministro dell’Interno, ha liquidato domenica sera durante il programma Che tempo che fa il tema della cittadinanza ai figli di stranieri nati o cresciuti in Italia. La brutalità dello slogan – perché di questo si tratta – è seconda solo alla superficialità che traspare dalle parole del segretario del Nuovo (sic) Centrodestra. Alfano ha imparato il mestiere dal migliore piazzista prestato alla politica e sa pertanto quanto conti non discostarsi troppo da un copione la cui efficacia dipende dal recitarlo almeno tre volte al giorno (in tutti i telegiornali e programmi di approfondimento politico), senza mai modificarne il contenuto. Ogni sia pur minima deviazione metterebbe infatti a nudo le numerose crepe di un ragionamento fondato solo sulla paura che gli italiani nutrono nei confronti di una crisi che sembra infinita. Nessun esponente del centrosinistra al governo (neanche la vituperata Cécile Kyenge) ha mai proposto l’introduzione di uno ius soli “selvaggio”. Nelle aule parlamentari si è sempre parlato di uno ius soli “temperato”, legato ai cicli scolastici. Ma sappiamo bene come chi deve la propria fortuna alle paure degli elettori si interessi poco ai fatti concreti. Ciò che conta è ergersi a (improbabili) paladini del trittico immarcescibile della destra italiana: Dio, patria e famiglia. L’aspetto più interessante resta comunque il ruolo complice dei principali mezzi di informazione. Ieri sera Fabio Fazio, con tutti i suoi evidenti limiti, ha tentato di replicare alle affermazioni di Alfano: agli estimatori del ministro dell’Interno le sue timide obiezioni saranno sembrate, per quanto formalmente educate, quasi un “attacco”. Ciononostante l’unico vero attacco è quello inferto alla professione giornalistica dai troppi colleghi che si limitano a reggere un microfono davanti alla bocca del politico di turno.

Il caso Cancellieri

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Il mondo alla rovescia. Politici, giornalisti e magistrati si affannano a tratteggiare in queste ore un ritratto agiografico del ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri. Una sorta di santa patrona laica dei carcerati. Di contro quelli che hanno osato criticarla ora passano per spietati forcaioli che avrebbero tratto quasi godimento fisico nel veder morire Giulia Ligresti in carcere. Sembra la declinazione del famoso “odio di classe” evocato spesso da Silvio Berlusconi. Ma le cose non stanno così: sono in pochi a biasimare il ministro per la sua umanità nei confronti di una donna che rifiutava il cibo e rischiava per questo di perdere la vita. Molti le rimproverano invece l’inopportunità di un interessamento – fin troppo evidente, alla luce degli stretti rapporti con i parenti dell’indagata – che alla gran parte dell’opinione pubblica appare semplicemente come uno scambio di cortesie e favori tra potenti. E di certo non aiutano a svelenire il clima le poco lusinghiere parole riservate da Giulia Ligresti a Piergiorgio Peluso, figlio del ministro Cancellieri ed ex direttore generale di Fondiaria-SAI: “È un idiota protetto dalla madre”. Un idiota, va detto, premiato peraltro con la generosa buonuscita di 3,6 milioni di euro dopo un solo anno di lavoro. A sua difesa il ministro ha sottolineato di essere intervenuta in altre decine di casi, quando in pericolo c’erano le vite di perfetti sconosciuti e, come se non bastasse, alcuni magistrati e alti dirigenti dell’amministrazione penitenziaria coinvolti nella vicenda Ligresti si sono affrettati a “scagionarla” affermando di non aver ricevuto alcun tipo di pressione. Peccato che il problema per il ministro non abbia a che fare col diritto penale; si tratta, infatti, di una questione squisitamente politica e di opportunità, aspetti tutt’altro che secondari o trascurabili per chi ha il compito di garantire la credibilità delle istituzioni. Detto ciò, altra recente strumentalizzazione occorsa in questo continuo “ribaltamento” della realtà è quella che vede protagonista Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano. Le sue parole, un circospetto attestato di stima nei confronti di Anna Maria Cancellieri, nei titoli di alcuni quotidiani sono diventate una granitica difesa del Guardasigilli. I sostenitori del ministro ripeteranno nelle prossime ore le sue parole (“Se Cancellieri fosse stata ministro Stefano oggi sarebbe vivo”), omettendo però un passaggio fondamentale (Se avesse saputo delle sue condizioni”). La questione è tutta qui in un Paese dove migliaia di detenuti vivono in condizioni di estremo disagio psicofisico, costretti nelle nostre incivili strutture carcerarie. Proprio come Giulia Ligresti, anche se a differenza di quest’ultima non possono vantare un filo diretto col ministro della Giustizia.