La campagna elettorale, tra guerra e social – Mario Di Vito

Guerra, bollette, diritti e un uso a volte sconsiderato dei social.

Bilanci e riflessioni sulla campagna elettorale per il voto del 25 settembre con il giornalista Mario Di Vito (il manifesto e Rolling Stone Italia).

Alfano e l’ossessione della sala parto

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Ius soli, no a trasformare l’Italia in una immensa sala parto, attraversando la quale si ottiene la cittadinanza”. Con queste parole Angelino Alfano, vicepremier e ministro dell’Interno, ha liquidato domenica sera durante il programma Che tempo che fa il tema della cittadinanza ai figli di stranieri nati o cresciuti in Italia. La brutalità dello slogan – perché di questo si tratta – è seconda solo alla superficialità che traspare dalle parole del segretario del Nuovo (sic) Centrodestra. Alfano ha imparato il mestiere dal migliore piazzista prestato alla politica e sa pertanto quanto conti non discostarsi troppo da un copione la cui efficacia dipende dal recitarlo almeno tre volte al giorno (in tutti i telegiornali e programmi di approfondimento politico), senza mai modificarne il contenuto. Ogni sia pur minima deviazione metterebbe infatti a nudo le numerose crepe di un ragionamento fondato solo sulla paura che gli italiani nutrono nei confronti di una crisi che sembra infinita. Nessun esponente del centrosinistra al governo (neanche la vituperata Cécile Kyenge) ha mai proposto l’introduzione di uno ius soli “selvaggio”. Nelle aule parlamentari si è sempre parlato di uno ius soli “temperato”, legato ai cicli scolastici. Ma sappiamo bene come chi deve la propria fortuna alle paure degli elettori si interessi poco ai fatti concreti. Ciò che conta è ergersi a (improbabili) paladini del trittico immarcescibile della destra italiana: Dio, patria e famiglia. L’aspetto più interessante resta comunque il ruolo complice dei principali mezzi di informazione. Ieri sera Fabio Fazio, con tutti i suoi evidenti limiti, ha tentato di replicare alle affermazioni di Alfano: agli estimatori del ministro dell’Interno le sue timide obiezioni saranno sembrate, per quanto formalmente educate, quasi un “attacco”. Ciononostante l’unico vero attacco è quello inferto alla professione giornalistica dai troppi colleghi che si limitano a reggere un microfono davanti alla bocca del politico di turno.