Guerra, bollette, diritti e un uso a volte sconsiderato dei social.
Bilanci e riflessioni sulla campagna elettorale per il voto del 25 settembre con il giornalista Mario Di Vito (il manifesto e Rolling Stone Italia).
Guerra, bollette, diritti e un uso a volte sconsiderato dei social.
Bilanci e riflessioni sulla campagna elettorale per il voto del 25 settembre con il giornalista Mario Di Vito (il manifesto e Rolling Stone Italia).
“In un giorno così triste, una notizia positiva. La nave Aquarius andrà a Malta… Come promesso, non in Italia”.
Nelle ore che vedono un intero Paese piangere i morti di Genova il ministro dell’Interno coglie ancora una volta l’occasione per blandire via Facebook e Twitter i suoi sostenitori, recando loro in dono “una notizia positiva” e cioè che un centinaio di esseri umani salvati in mezzo al mare non verranno accolti in Italia ma altrove.
“Non facciamogli da megafono”, “ignoriamolo”, “non diamogli visibilità”. È la replica di quanti vorrebbero ignorare messaggi odiosi come quello già citato.
Per quanto sia condivisibile l’insofferenza legata all’opprimente sovraesposizione mediatica di Matteo Salvini – non c’è tg o giornale che salti l’appuntamento con la sua immancabile dichiarazione “shock” quotidiana – come non considerare che stiamo parlando di un leader politico che alla carica di ministro dell’Interno affianca quella di vicepresidente del Consiglio e può vantare 834mila follower su Twitter e quasi tre milioni di “mi piace” su Facebook?
I social sono uno dei campi di battaglia dello scontro politico.
Smentire le fake news xenofobe che condivide, esprimere solidarietà a chi viene linciato su Facebook dalla pagina ufficiale del suo partito e censurare senza fare sconti i suoi metodi da bullo, sono azioni che hanno ancora senso.
“Ma non basta un tweet, bisogna scendere in piazza”.
È vero, l’attivismo virtuale non è sufficiente. Opporsi ai discorsi d’odio sul posto di lavoro, nella scuola e con allarmante frequenza perfino all’interno del proprio nucleo familiare resta un dovere imprescindibile, ma non così facile come potrebbe sembrare.
Tuttavia una ritirata sull’Aventino dei social network potrebbe rivelarsi miope e controproducente. Se non commentiamo i post di Salvini non c’è l’oblio ad attenderli, ma una vastissima platea di persone ossessionate da migranti, ong, Soros, burocrati europei… Senza dimenticare che nel caso del leader leghista – insediatosi nel frattempo ai vertici del Viminale e dell’attuale esecutivo – i media non hanno più bisogno di qualche risibile polemica nata sulla Rete per invitarlo e vezzeggiarlo, come peraltro accadeva già in passato.
Non si indebolisce Salvini fingendo che non esista su Twitter e Facebook, lo si fa contrastandolo su tutti i fronti, compreso quello dei social.
Alla soglia dei quarant’anni, dopo una vita intera vissuta in Italia, è dura sentirsi quasi “persona non grata” nel Paese in cui si è nati e cresciuti.
Mi aggrappo con forza al “quasi” della frase precedente perché la sensazione di essere un corpo estraneo a malapena tollerato è assai sgradevole.
Attribuire la responsabilità di questo mio stato d’animo soltanto all’attuale ministro dell’Interno sarebbe scorretto, anche se non credo sia possibile ignorare il ruolo giocato dal leader della Lega, dominus dell’attuale esecutivo.
La martellante propaganda quotidiana del ministro Salvini sulla pelle di migranti e rom, accompagnata dall’incessante derisione di chiunque osi criticarlo a colpi di “bacioni” e faccine sorridenti, sta contribuendo a creare un clima d’odio.
In questi giorni mi tocca constatare come la sua continua retorica xenofoba stia erodendo in misura significativa l’innegabile privilegio che mi ha tenuto finora “al sicuro”: la cittadinanza italiana.
Padre italiano, madre somala. Episodi di razzismo ne ho subiti in vita mia, ma riconosco che il privilegio – perché di questo si tratta, dovremmo sempre tenerlo a mente – di un passaporto europeo mi ha difeso e tutelato in molte occasioni.
Lo ha fatto così bene e a lungo che per gran parte della mia vita mi sono dimenticato di essere nero.
Ripeto: episodi di intolleranza li ho vissuti anch’io. Mi hanno chiamato “negro”, per strada come all’università e a volte ho viaggiato più comodo di altri sui mezzi pubblici, grazie a qualche passeggero che temeva non si sa bene cosa.
Detto ciò, mi spiace per il capo del Viminale ma l’idea di essere picchiato o colpito dal pallino di un fucile ad aria compressa perché sono nero, quindi un bersaglio tutto sommato “accettabile” in quest’Italia incattivita, non mi entusiasma affatto.
“Da papà” premuroso quale ama descriversi, Matteo Salvini dice di avere a cuore la sicurezza degli italiani e delle italiane.
Oggi non mi sento più sicuro di qualche mese fa in un Paese dove il ministro dell’Interno nega l’evidenza, liquida l’inquietante successione di recenti aggressioni razziste come “invenzioni della sinistra” e utilizza i social per dettare l’agenda ai media, monopolizzando il dibattito pubblico e aizzando i suoi sostenitori contro il nemico del giorno: ieri i rom, oggi i venditori ambulanti e domani di nuovo i migranti e le ong.
Su una cosa sono tuttavia d’accordo con Salvini: “La pazienza degli italiani è finita”.
La mia lo è di certo.
Ebola? “Un milione di contagiati in Africa”. L’operazione Mare Nostrum? “Ci è costata un miliardo di euro”. Tubercolosi? “Gli stranieri l’hanno riportata in Italia”. Matteo Salvini non ha rivali quando si tratta di cavalcare la paura dello straniero. O di raccontare frottole. Dispone di un copione ben rodato (la storia degli immigrati-parassiti ospitati in alberghi a 3 se non addirittura 4 stelle e sfamati – udite, udite – ben tre volte al giorno!), puntualmente recitato in qualsiasi discussione lo veda coinvolto. Si parla di ebola? Nessun problema! Il solerte Salvini riuscirà a infilare nel dibattito un caso di cronaca locale, possibilmente nera, che abbia come protagonista uno straniero. Lo fa con la tipica spregiudicatezza di un padre amorevole e pieno di compassione per “quelli che scappano dalle guerre”. Purché gli sventurati non bussino alla sua porta. In quel caso salvarli dalla prospettiva di annegare in mare diventerebbe complicità criminale con gli scafisti. Il benaltrismo amorale di Salvini è sconvolgente. Metterlo nell’angolo ed inchiodarlo alle sue affermazioni spesso fasulle è difficile: svicola sempre, deride l’interlocutore e lo colpisce ai fianchi ripetendo ossessivamente dati gonfiati, errati o parziali. È tuttavia preoccupante la sua sintonia con una vasta area dell’elettorato italiano: una platea che si va ampliando di giorno in giorno, grazie anche alla notevole esposizione mediatica che gli viene concessa dai programmi televisivi che lo contrappongono quotidianamente all’altro Matteo, quello che governa il Paese. Neppure l’ostentata familiarità con l’estrema destra (dal Front National di Marine Le Pen ai “fascisti del terzo millennio” di CasaPound) sembra impensierire più di tanto i suoi estimatori. Sui social media, Twitter in testa, è lo zimbello di molti, ma in televisione purtroppo “funziona”. I conduttori non riescono ad arginarlo né a sbugiardarlo. La sua ottusità, non si sa quanto voluta, lo rende impermeabile a qualsiasi appunto o critica. Si tratta di un bulldozer becero ma efficiente; sottovalutarlo sarebbe errore gravissimo.